Cibo amico, cibo nemico.

Cibo nella testa, cibo nella pancia.

Cibo fuori, cibo dentro.

Cibo desiderato, cibo odiato.

Cibo buono, cibo cattivo.

Cibo divorato, cibo rigettato.

Sono solo alcuni dei significati attribuiti al cibo da parte di chi è affetto da un Disturbo del Comportamento Alimentare e che ogni giorno sentiamo narrare dalle ragazze che incontriamo. 

Riabilitare la persona malata ad una riscoperta “sana” dell’approccio al cibo nonché al recupero di una forma fisica “sana”, rappresentano degli obiettivi importanti del percorso nutrizionale, che affianca in maniera integrata la psicoterapia.

L’obiettivo finale, anche se non conclusivo, è il ritorno ad una alimentazione libera e spontanea, per cui il lavoro spesso parte dal riconoscimento della fame e della sazietà, dispercepiti dalla persona malata a causa dell’estremo controllo o al contrario della totale perdita del controllo, che caratterizzano il disturbo alimentare.

Gli strumenti utilizzati cambiano e si adattano a seconda della persona che ci troviamo a curare. Anche l’età è elemento importante per il tipo di approccio, andando quindi da tecniche ludico-esperienziali, al diario emotivo-nutrizionale, passando per l’educazione alimentare, modalità che consentono di conoscere il funzionamento del nostro corpo, i suoi bisogni e riscoprire il cibo nei vari aspetti, da quello nutritivo a quello del gusto.

Il denominatore comune è sempre quello dell’accoglienza e della comprensione, senza la promessa di soluzioni facili ma affiancando e supportando la persona, nell’ottica di condivisione del percorso di guarigione personale.